Scisviluppo

Scisviluppo nasce nel 1998 con lo scopo di fornire un riferimento tecnico e promozionale per i più o meno esperti di questo sport. Un team di sciatori provenienti dal mondo dello sci agonistico si dedicano a sperimentare e studiare materiali ed aspetti tecnici dello sci moderno. L’intento del gruppo è quello di non relegare lo sci in concetti arcaici e superati ma guidarvi sulla strada dello sci moderno inteso come sviluppo, miglioramento e sopratutto, divertimento.
Dal 2o13 Scisviluppo torna assiduamente alla pratica dello sci d’erba (grasski) e da vita l’ Associazione Sportiva Dilettantistica Scisviluppo.

Si parte

In Umbria, negli anni del dopoguerra, lo sci iniziava lentamente la sua crescita. Le prime piccole stazioni sciistiche, fra le quali Forca Canapine (teatro ristretto di pochi appassionati), prendevano lentamente vita. Le possibilità economiche per potersi dedicare a questo sport non era molte, si stava uscendo dalla guerra e la fatica della ripresa obbligava ancora le persone al sacrificio.

Sebastiano Fancelli, nostro padre, insieme ad un suo carissimo amico, Mario Proietti, si divertivano a sciare in quei luoghi dove la mano dell’uomo non si era ancora posata e dove la fatica delle risalite a piedi, con gli sci in spalla, veniva alleviata dalla gioia dell’aria fresca che durante la discesa li rivitalizzava.

Il battipista era una realtà ancora lontana: si risaliva a scaletta con gli sci ai piedi cercando di allargare di volta in volta quella che sarebbe stata la loro pista. Un panino indurito dal freddo nello zaino ed una bottiglietta di vino costituivano il pranzo, consumato con il grande appetito stuzzicato dalla montagna. Dopo ci si sdraiava un poco sulla neve, salutando le nubi che spinte dai freddi venti vagavano per i Monti Sibillini, coprendo a volte il sole e facendo rabbrividire i corpi; era giunto il momento di rialzarsi e di risalire scorgendo le meraviglie variegate della natura. Era una finestra che si riapriva di volta in volta offrendo sempre qualcosa di particolare, come le tracce di un lupo o di uno scoiattolo sulla neve, o come la vegetazione che salendo si perdeva fino scomparire tra le rocce. Durante la risalita, il cuore in gola e il fiato che condensava a contatto dell’aria gelida, erano sensazioni che venivano alleviate dai racconti divertenti riguardanti le prime “pazzie” sulla neve. Mio padre, ancor oggi, mi racconta delle gelide notti illuminate dal chiaro di luna trascorse a scivolare con la slitta costruita con le doghe delle botti del vino. Una realtà stupenda che col tempo andava evolvendosi: la prima vera slitta di famiglia risale alla fine degli anni 50, i primi veri sci alla fine degli anni 40.

Siamo nel periodo in cui lo sci stava iniziando a diffondersi in tutta Italia: Cortina, una delle più belle località invernali del mondo, ospitava la settima edizione delle olimpiadi invernali; il fuoco olimpico veniva acceso al Campidoglio a Roma ricevendo la benedizione del Papa e molte delle gare furono trasmesse dalla televisione. In Italia lo sci si stava sviluppando come attività prevalentemente riservata alla classe borghese, a causa dei costi elevati e la montagna diventava sempre più luogo di elite. Fortunatamente non tutte le stazioni sciistiche si ponevano su questo livello e le località meno popolari erano accessibili anche agli appassionati meno ricchi. Sono gli anni 60 quando la famiglia Fancelli, insieme ad altre famiglie, cominciava quel salire carico di tornanti, fra i faggeti e le montagne, che portavano sulle piste di Forche Canapine. Sembrava quasi che le automobili sopportassero la fatica della salita stimolate anche loro dalla voglia di arrivare.

Le strade tortuose erano delimitate da file di alti paletti di legno che indicavano, quando c’era tanta neve e la strada diventava invisibile, la direzione da seguire per arrivare. Si procedeva lungo le valli per una cinquantina di chilometri, attraversando piccoli paesini fatti di case in pietra con finestre piccole e incassate come per nascondersi dal vento e dal freddo, fino ad arrivare a Norcia, il centro di maggior importanza della Valnerina dal punto di vista storico e turistico. Da qui le automobili affrontavano l’ultima arrampicata per una ventina di chilometri fino ad arrivare alle piste, attraversando i campi abbandonati dai pastori ai primi freddi; era la transumanza, pratica ormai scomparsa e rievocata solo nei ricordi. La montagna cominciò a diventare la meta fissa dei giorni di festa, dove al piacere di sciare si univa a quello dello stare insieme agli amici; ognuno portava qualcosa da mangiare e al “Campetto” si pasteggiava fra uno spruzzo di neve e una folata di vento. Erano i tempi in cui, ogni anno, di fiocchi ne scendevano tanti, gli abeti erano sempre ricurvi sotto al peso della neve e la stagione sciistica iniziava a dicembre per terminare ad aprile. A giugno la mancanza del manto nevoso era talmente forte che era consuetudine partecipare alla classica uscita sul Monte Vettore, una sorta di trofeo dello sci estivo dell’Appennino. Si saliva a piedi con l’attrezzatura in spalla e solo più tardi vennero usati i muli da carico per rendere più agevole le tre ore di cammino necessarie a superare un dislivello di 1000 metri. Qui si scia anche nel mese di giugno: infatti anche d’estate la temperatura non supera i 20°. Oggi a distanza di più di 40 anni questa montagna è diventata meta di un appuntamento fisso nella stagione estiva, quando viene organizzata la gara sciistica “Trofeo del monte Vettore”. Siamo intorno alla fine degli anni 60, sta partendo la prima coppa del mondo (1967) e la grande carovana del circo bianco coinvolge subito i giovani spingendoli ad avvicinarsi a questo sport.

Il bambino della foto è mio fratello Sergio e sta apprendendo le basi dello sci cercando di imitare il padre nello stile e nell’abbigliamento. Ci troviamo a Seggio una piccola località montuosa nelle vicinanze di casa nostra, senza impianti e larghe piste ma modesta palestra dei nostri primi scivoloni. Questo è quello che nostro padre ci ha sempre insegnato: “apprezzare qualunque pendio purché innevato dove il risultato si raggiunge attraverso la passione e la volontà”. Nella foto Sebastiano Fancelli sta mostrando una curva a Sergio con una tecnica dello sci già avanzata: si può osservare che già all’epoca, nonostante i materiali, mio padre sta ricercando un movimento di angolazione e azione delle caviglie, repertorio oggi dello sci moderno. Siamo in località Forche Canapine intorno ai primi anni settanta, periodo nel quale lo sci in Italia sta vivendo un buon momento grazie ai successi di grandi campioni come Gustav Thoeni e Piero Gross. Il primo vince la coppa del mondo nel ’71,’72,’73,’75 e il secondo nel ’74. Le competizioni di sci alpino iniziano a diffondersi anche in centro Italia, scoprendo nuovi talenti e giovani promesse. Tra questi si fa spazio mio fratello che, partecipando pur raramente ad allenamenti ed alle competizioni delle squadre giovanili, ottiene buoni risultati vincendo diverse gare. Il suo livello tecnico maturato attraverso anni di ricerca unito alla fantasia e alla capacità comunicativa, lo hanno fatto oggi uno dei portavoce più attendibili dello sci in centro Italia.

Fausto Fancelli